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Osea

Contemporaneo di Amos, Osea visse e operò nel regno d’Israele, di cui era anche originario, nella seconda metà del sec. VIII a.C. (1, 1), mentre maturava la rovina di quel regno scismatico (721 a.C.), che si era separato da Giuda dopo la morte di Salomone (931 a.C.). In dipendenza della sua missione profetica ebbe anche una vita familiare drammatica giacché se il suo matrimonio rivestì un carattere simbolico, non è certo che fosse puro simbolo. Il libro si presenta piuttosto come un’antologia di testi senza un chiaro ordinamento logico; dopo aver parlato del suo matrimonio e del contenuto simbolico di esso (cc. 1-3), il profeta passa a deplorare i delitti di Israele e a minacciarne il castigo (cc. 4-13) per concludere con un invito alla conversione (c. 14). Il tema principale del messaggio di Osea è la infedeltà di Israele al suo Dio, il quale, per la prima volta nella Bibbia, viene esaltato come lo Sposo del suo popolo: l’alleanza che ad esso lo legava era dunque un patto d’amore. Tra il lampeggiare delle minacce e l’asprezza di una critica appassionata, l’amore di Dio è descritto con accenti di intimità e di tenerezza, acquistando potente rilievo. Rievocando il passato della storia della salvezza, Osea fissa il suo sguardo sul periodo trascorso da Israele nel deserto, dopo la sua uscita dall’Egitto, al riparo da ogni tentazione di idolatria e dal fascino del benessere materiale: è l’ideale del deserto, come momento di solitudine che consente una maggiore fedeltà alla vocazione divina.